Pianta on the road: l’albero di fico all’angolo tra Chapala e Montecito Street a Santa Barbara. È il più grande della California, le sue radici giganti emergono maestose dal terreno.
“Life is short, eat cookies”. La mattina comincia così, addentando un cookie burroso che profuma di cannella.
Salutiamo Cayucos e procediamo verso sud.
Dopo una breve sosta a Solvang, un insolito borgo costruito interamente in stile danese con tanto di mulini a vento e cicogne in ferro battuto, approdiamo nella ridente Santa Barbara.
È la California dipinta dai telefilm per teenager. Case basse in adobe (mattone rosso cotto al sole) e palme slanciate che sfiorano le nuvole. Terra baciata dal sole con un clima mite, anche gli homeless sembrano essere più spensierati. Prima di Hollywood, era questa la mecca del cinema, vennero girati molti film western.
Sulla spiaggia si gioca a beach volley, mentre i padri fanno jogging sul lungomare spingendo la carrozzina che porta il pargolo. Un simpatico water taxi trasporta in 5 minuti via mare dalla Marina, sede dello Yacht Club, al molo.
La sera scegliamo di stare leggeri e ceniamo da “Arigato“, un giapponese molto in voga su State Street, l’arteria principale della città. Grande scelta di special roll vegetariani.
La mattina, dopo aver fatto rifornimento di acqua e benzina, partiamo alla volta della Death Valley. Lasciamo alle nostre spalle l’Oceano, i centri abitati sono progressivamente meno frequenti, le automobili si diradano. La strada diventa tutta per noi. È il deserto.
Dopo 5 ore di strada, a soli 100km dall’ingresso nella Death Valley, un cartello ci avvisa che la strada è chiusa, causa “flash floods“. La forte escursione termica porta temporali e improvvise inondazioni poiché la terra è troppo secca per assorbire l’acqua. Non si può proseguire, non in questa direzione. Siamo costretti a tornare indietro e spingerci sino a nord per poi ridiscendere (uno scherzetto che aggiunge al nostro percorso 300km).
Dopo 8 lunghe ore di macchina, arriviamo. Sono le 18, il sole brucia l’asfalto, il termometro segna 49 gradi. Da queste parti vivono linci, puma, scorpioni, serpenti a sonagli, vedove nere... e anche il simpatico uccello Bip Bip del cartone animato (chiamasi roadrunner). Uomini, pochi.
Ci incamminiamo a piedi per il Mosaic Canyon: stretto, avvolgente, con rocce lisce come il marmo. Le desidero come piano per la mia cucina. Per vincere il caldo bisogna affidarsi al corpo, senza troppi pensieri. La pelle suda, disidratandosi rapidamente. L’aria è secca e bollente.
Ammiriamo le Flat Sand Dunes, sconfinate montagne di sabbia create come per incanto dai venti che erodono le montagne vicine. Riusciamo a raggiungere Zabriskie Point per il tramonto.
Il belvedere trasformato in leggenda da Antonioni offre un ampio respiro su un paesaggio lunare che toglie letteralmente il fiato. Iperreale, perché anche se non ci sono mai stata, grazie ai numerosi film girati da queste parti, ha un sapore familiare. Un cucciolo di coyote mi sgattaiola di fianco, mentre il sole scompare dietro le rocce.
La sera il caldo non diminuisce. Prima di cena facciamo un bagno rigenerante in piscina. Uscendo dall’acqua non c’è bisogno di nulla: un phon naturale, in pochi minuti, mi asciuga pelle, capelli e costume. In camera scopro che dal lavandino esce solo acqua calda.
Ci svegliamo all’alba per visitare la valle. L’Artist’s Drive è uno scorcio incredibile dove i pigmenti naturali hanno coperto le pietre vulcaniche con colori che sembrano rubati alla palette di Monet. Badwater è il punto più basso (e più caldo!) di tutto l’emisfero settentrionale, 86 metri sotto il livello del mare.
È il residuo di un lago salato che ricopriva la valle tempo fa. Un esploratore vi giunse con il suo asino e quando scoprì che l’acqua non si poteva bere, a causa della salinità, esclamò “Bad water!”
Arriviamo sino a Dante’s View, un promontorio di 1.669 metri da cui si gode di una vista unica sulla valle: stretti pendii, laghi di sale, montagne, canyon, crateri, dune di sabbia. E un sole implacabile che non perdona. La Natura vince. Sempre.
DRITTE TAKE AWAY
Santa Barbara
Dove ho dormito
The Eagle Inn – incantevole, sembra una casetta.
Ristoranti consigliati
Arigato
Death Valley
Dove ho dormito
The Ranch at Furnace Creek Resort
Dritta on the road
Fate benzina prima di arrivare in Death Valley: una volta dentro al parco, i prezzi salgono alle stelle!
→ Tappa successiva: Pasadena e Orange County
6 Comments
Erika Pan
Settembre 3, 2013 at 7:59 amSto sognando quel cielo!!
Pasadena e Orange County | oltreilbalcone
Gennaio 29, 2015 at 4:58 pm[…] ← Santa Barbara e Death Valley San Diego → settembre 4, 2013 · 1:55 am ↓ Salta ai commenti […]
Big Sur e Cayucos | oltreilbalcone
Gennaio 26, 2016 at 5:09 pm[…] Santa Cruz Santa Barbara e Death Valley → by Corinna Agostoni | settembre 2, 2013 · 1:22 am ↓ Jump to […]
Elisa
Febbraio 3, 2016 at 5:36 pmChe bello questo post! Una domanda, quanto tempo dedicheresti alla Death Valley?
Arrivando la sera prima si può poi partire il giorno dopo o dedicheresti un’altra notte alla Death Valley?
Grazie
Corinna Agostoni
Febbraio 3, 2016 at 6:59 pmGrazie! Quando ero andata io (agosto) faceva molto caldo, il Parco era visitabile solo nel tardo pomeriggio (dopo le 18) e la mattina (sino alle 10). Nelle ore centrali, impossibile girare in macchina (indispensabile per spostarsi da un punto all’altro d’interesse), le ruote si fondono con l’asfalto. Una notte è sufficiente, soprattutto se riuscite a sfruttare le ore che precedono il tramonto. Viceversa si è bloccati nel resort nelle ore centrali (per me dalle 10 alle 18, in primavera farà meno caldo, quindi il periodo di “coprifuoco” sarà più ristretto, ma sempre presente). In ogni caso, al massimo due notti, non di più.
Pasadena e Orange County | oltreilbalcone
Febbraio 23, 2016 at 12:51 pm[…] ← Santa Barbara e Death Valley San Diego → by Corinna Agostoni | settembre 4, 2013 · 1:55 am ↓ Jump to Comments […]